martedì 6 novembre 2012

Punching Secrets

Greenfield; Porto - Novembre 2514
-Monkey Wrench-


-"Ho dato un pugno a Neville."

Anya Krushenko rivolse un sorriso sghembo e irriverente al ragazzo seduto di fianco a lei.
I glutei calati sul pavimento della stiva ed i piedi sulla rampa di accesso della Firefly, che mostrava alle loro spalle il ventre aperto della nave, immerso nella semioscurità.

I loro volti illuminati dal bagliore fioco dell'holodeck che Djeval teneva sulle ginocchia, e dalle braci aranciate delle loro sigarette. Riccioli di fumo risalivano al cielo con costante regolarità, intercettandosi in volute vacue e divertenti.
Intorno a loro, all'esterno, le luci dei Dock vegliavano sulla scarsa attività notturna.
Clifford Djeval le rivolse un'occhiata vagamente sorpresa. I suoi occhi chiari scintillarono come metallo fuso, pizzicati dal riverbero soffuso dello schermo.

-"Perché? Ha scoperto come ti chiami...Anastasiya?"

Le rifilò il suo solito sorriso scaltro e affilato, strappandole un grugnito minaccioso.

-"Continua così, e domattina ti svegli morto sul serio."

Pronunciò Lei, piccata. Un broncio leggero e diffuso arricciava la bocca e le guance, mettendo in rilievo il drago tatuato sullo zigomo sinistro.
Lui rise, divertito. La guardò di nuovo, cercandone il profilo più direttamente e senza celare una certa curiosità.
Per un istante si lasciò catturare dalla guancia tatuata poi spostò l'attenzione nella ricerca degli occhi verdi di Anya. Un lieve movimento delle sopracciglia fu il tacito invito a parlare.

-"E' più fuori di testa di te." 

Fu la prima accusa lanciata dalla pilota nei confronti dell'assente Capitano dei Monkey.
L'accento sovietico reso più marcato del solito dall'inquietudine latente.
Ruotò il viso per incontrare direttamente lo sguardo di Djeval, sollevando appena il labbro superiore in un ringhio sbuffato, colmo di disappunto.
La bottiglia di Rum, promessa nel momento in cui lo aveva contattato per avere compagnia, era poggiata dietro di loro, intonsa.
Era ancora così nervosa che non sentiva la necessità di bere.

Djeval rise, di nuovo.

-"Ok, non me la bevo, An. Che cazzo t'ha combinato?"

-"Mi ha praticamente chiesto fare la spia per lui ...ed entrare nella SHOUYE!!" 

La voce, bassa e arrochita, salì di un'ottava nel pronunciare l'ultima parola.
Era in evidente difficoltà.
Si era scusata con Neville per il pugno, ma non le era affatto passata.

-"...."

Djeval rise, ancora. Di gusto. Rovesciò la testa all'indietro ed i capelli lunghi gli scivolarono via dal viso, offrendole il profilo. Rise così forte che l'holodeck sulle ginocchia prese a sussultare violento, rischiando di crollare a terra.

Il pugno arrivò repentino, senza avviso. Caricato con la sinistra a distanza troppo ravvicinata per fare realmente male, cercò la spalla di Djeval. Lo fulminò con lo sguardo.

-"Gli ho detto che se lo può scordare."
Sancì, a scanso di equivoci.

-"Ovviamente".
Rispose lui, ancora preda degli ultimi spasmi di risata. Del pugno non si era nemmeno curato.

-"Ovviamente."
Ripeté Lei.
-"...non lo facevo così ...."

Sbuffò, ancora una volta, indirizzando altri pensieri amorevoli al Commandant dalle chiappe d'oro.
E tornò nel silenzio un lungo istante, per dedicarsi alla sigaretta ormai consumata.
La tenne tra le dita , restando ad osservare il ricciolo di fumo dipanarsi dal filtro sintetico e disperdersi nell'aria della sera.
Non era solo per quel motivo che era ancora sveglia alle tre del mattino, e aveva deciso di ammorbare lui con la propria presenza.

Ma non poteva aprirsi. O forse non ne era in grado. O entrambe le cose.
Forse, con Cox sarebbe stato più semplice.

Sarebbe stato più semplice ammettere che più ancora della proposta di Neville, ciò che l'aveva fatta realmente infuriare era stato il silenzio di Joe, quando gli aveva scritto per informarlo, e sfogarsi.
Era arrabbiata: con Joe, perché si era rifiutato di parlarne via cortex e si trovava nel Core insieme a Wright a combinare chissà cosa e chissà quando lo avrebbe rivisto...e con se stessa.
Soprattutto, con se stessa.

Non si era mai sentita così, prima. Mai.
Nemmeno con Bijeli.

Per la prima volta nella sua vita si trovava di fronte a qualcuno che non era in grado di lasciare Fuori.

Si scoprì a pensare di nuovo al Dottor Brahms, ad una delle ultime sedute con lui, prima di ottenere l'abilitazione al ritorno in servizio e poi l'agognato trasferimento oltre i confini di Koroleva.

***

Koroleva, Città di Dubna  - Novembre 2513
Sede Distaccata Sez. Intelligence - Studio Dr. Ivan Brahms
Specialista in psicoterapia e analisi comportamentale unità operative


-"Era innamorata di lui?"

Una domanda semplice, diretta.
Anastasya Krushenko osservò il terapista per un lungo momento, poi alzò gli occhi al soffitto con un sospiro teatrale.

-"L'amore è una faccenda sopravvalutata, Doc. Non fa per me."

Per quanto cinica potesse essere l'affermazione, lui capì che era sincera.  Si accigliò, preoccupato. Anche se non avrebbe saputo dirne il motivo, in un primo momento.

-"Ma ha avuto una relazione con lui."

-"Sì. Ho avuto una relazione con lui. " 

Un'ammissione che non comportava nulla di nuovo. Tutto scritto nero su bianco nei chilometrici rapporti da lei inviati riguardo all'Operazione Zanska.

-"..Ho avuto una relazione sessuale, con lui." 

Specificò, quasi sfidandolo a contraddirla, con uno sguardo intenso color del muschio.
Il ricciolo all'angolo sinistro della bocca evidenziò una volta di più lo zigomo tatuato.
Brahms si chiese se sarebbe mai riuscito a capire fino in fondo le vere ragioni alla base di quel simbolo, schiaffato come fregio ipnotico a catturare l'attenzione di chiunque entrasse in contatto con lei.
Non che ad Anastasiya Krushenko mancassero gli strumenti per attirare l'attenzione altrui.
Ne aveva molti, e di tutti era consapevole.

-"..e non provava nulla, per lui?"..."non prova assolutamente nulla, per lui?"

Lei sbuffò, dilatando un poco le narici.
Ma non si scompose, restando accomodata sulla poltrona nera, con le gambe accavallate e le mani docilmente posate in grembo.

-"Non ho detto questo."

Lo corresse, pragmatica.

-"Mi ha salvato la vita. ...Ha tolto proiettili dalla mia pancia e mi ha ricucito con del filo interdentale, assicurandosi che io non morissi. Quando avrebbe potuto lasciarmi a crepare e andarsene da solo, senza un carico sulle spalle."

Non era la prima volta che tornavano sull'argomento. Bramhs ascoltò, osservò, cercò di interpretare la scarsissima mimica corporea della sua paziente.
L'Intelligence addestrava i suoi agenti speciali molto duramente, considerati i rischi cui si sottoponevano con il loro lavoro.
Purtroppo per lui, nel caso di Anastasiya Krushenko l'addestramento aveva ottenuto risultati sin troppo buoni.

-"Dunque..."

La invitò gentilmente a continuare.

-"Dunque...se mi sta chiedendo se ero innamorata di lui, la risposta è sempre no. Ma quando qualcuno mette letteralmente mani nelle tue viscere per cavarne proiettili, e riesce a tenerti per i capelli aggrappata alla vita...è decisamente complicato non sviluppare un certo senso di riconoscenza. Non crede?"

Un filo di sarcasmo a condirne le parole, pronunciate con la consueta, placida calma.

-"Gratitudine, quindi. Solo questo. Non affetto."

-"La pagano per attaccarsi così alle parole, Doc? L'affetto e l'Amore sono due cose diverse."

Lei sospirò a lungo. Cominciava a sentirsi stanca di quelle loro sedute, dei duelli mentali con lui. Voleva che tutto finisse. Voleva tornare al suo lavoro. Smettere di pensare a quanto era successo.
A quanto le aveva fatto male, apprendere dei decessi.
A quanto preoccupata era per Bijeli, da quando ne aveva perso ogni traccia.

Non che si potesse leggere nulla di tutto ciò dal volto della giovane donna, in apparenza semplicemente ...neutro.

Brahms sorrise, pacato.
-"E' proprio quello per cui mi pagano."

Anastasiya Krushenko scrollò piano il capo, e tornò a cercare lo sguardo diretto del medico.

-"Cosa vuole sentirsi dire esattamente? " - chiese, corrugando la fronte. - "Che mi sentivo legata a lui in qualche modo?..." - sollevò le mani, allargandole lentamente a palmo aperto in segno di resa.
-"Sì. Mi sentivo legata a lui. Mi ha salvato la vita." - scandì, ancora una volta, il concetto espresso. Deglutì, soffiò un respiro pesante dalle narici dilatate.

-"Ma questo non mi ha impedito di portare a termine il mio lavoro. " -proseguì, con l'accenno di un sorriso amaro, stanco. - "Il punto è che tutti al Comando si stanno chiedendo se io l'abbia aiutato a fuggire... e non l'ho fatto."

Anastasiya Krushenko scandì ogni parola, fissando direttamente il medico. E ringraziò l'addestramento ricevuto: calibrò le parole in modo da non mentire, e obbligò il proprio corpo a restare fermo, i  muscoli del volto a non tradire altro che solenne stanchezza.
Stava dicendo la verità: non aveva aiutato Bijeli a fuggire.
Era troppo lontana quel giorno, ed impegnata a inscenare la propria stessa morte attraverso il sacrificio dell'elicottero.

Ma ne aveva poi coperto ogni traccia, a sua insaputa, per evitare che i colleghi della FOM riuscissero a catturarlo prima della sua uscita dallo spazio di competenza di Koroleva.
Quando qualcuno ti salva la vita, quando condividi con lui la carne e il sangue per molto tempo,  il legame che si crea è diverso, e forse più forte ancora dell'Amore.

In qualche modo, sentiva di aver ripagato così, almeno in parte, il suo debito.